Resoconto di una mattina partita con la cancellazione di un volo e terminata con una piacevole visita allo Staedel Museum di Francoforte.
In tutta sincerità, mi auguro che non abbiate mai avuto il dispiacere di transitare per l’aeroporto di Francoforte. Credo che, se Dante fosse vissuto ai nostri giorni, non avrebbe esitato ad ambientare la Selva oscura in uno degli hub più importanti d’Europa. Appunto, quello di Francoforte. Capite bene, dunque, che quando sono arrivata in loco e ho scoperto che il mio volo era stato cancellato e che io sarei partita diverse ore dopo, di restare lì dentro non avevo nessuna voglia.
Che fare dunque? Semplice! Per “modici” 15 euro lasciare le valigie in bagaglieria, saltare sul primo treno disponibile e andare in città. Forse la città meno europea che io conosca, con il suo skyline tipicamente americano, fatto di grattacieli e poco più. Città devastata dalla guerra, ricostruita in fretta negli anni Cinquanta e poi cresciuta in altezza negli ultimi trent’anni. Quel che resta del centro storico si visita abbastanza in fretta e, in tutta onestà, non era quello che desideravo. E così, scesa alla stazione centrale, a passo sicuro mi sono diretta verso il Meno. Destinazione: lo Staedel Museum.
Lo Staedel Museum non è forse il museo più conosciuto del Vecchio Continente. Il che non significa che non sia frequentato. Ci ho trovato scolaresche in visita, gruppi di “Senioren” (come i Germania si chiama chi da un bel po’ ha superato una certa età), qualche turista asiatico e diversi locali. Ma senza quella folla che, in più di un’occasione, mi ha fatto rinunciare a una visita a un museo. Ci si sta bene, insomma.
Dettaglio non da poco, sin dall’esterno è molto invitante: un bel giardino dove sedersi a leggere un libro, la severa facciata ottocentesca mitigata da felici interventi di architettura contemporanea, un bel ristorante con tanto di déhors, sculture e installazioni d’arte qua e là… insomma: già dalle premesse la visita fa ben sperare.
In realtà, dello Staedel Museum sapevo poco o nulla. Solo che è una galleria d’arte relativamente piccola ma in grado di spaziare dal tardo Medioevo fino ai giorni nostri e che è stato fondato all’inizio dell’Ottocento da Johann Friedrich Städel, di professione banchiere. Per farla breve, Städel lasciò la sua casa, la collezione privata e i fondi necessari per permettere al pubblico di ammirare quel che lui aveva raccolto nel tempo. Già pochi anni dopo la sua morte, si decise per una sede più adeguata e fu così costruito il bell’edificio in arenaria nel quartiere di Sachsenhausen, lungo il fiume Meno.
Arrivata al cospetto del museo, mi sono affrettata verso l’ingresso. Purtroppo di tempo non ne avevo poi molto… pagato il biglietto, 16 euro ben spesi, e recuperata una mappa, ho cominciato la mia esplorazione. E già la prima sala mi ha regalato una bella sorpresa: ignoravo che il ritratto più famoso di Johann Wolfgang von Goethe, quello che lo rappresenta nella campagna romana al cospetto di alcune rovine, sia custodito allo Staedel Museum. A Goethe sono affezionata per via dei miei studi liceali, a quel ritratto per via dell’ambientazione così neoclassica da risultare una sorta di manifesto culturale. Quindi, sin da subito, il museo mi ha fatto simpatia.
Poi, addentrandomi nelle sale, fra dipinti di autori tedeschi a me perfettamente sconosciuti (mea culpa!), ho trovato opere notevoli: Segantini, Munch, Rodin, Renoir, Degas… senza dimenticare una bella selezione di quadri afferenti all’Espressionismo, quelli di Kirchner su tutti. Letta questa hit-parade potreste pensare che lo Staedel Museum sia votato soprattutto all’arte moderna. In realtà no, come scrivevo, ma il ritratto di Goethe trae in inganno. Perché salita la prima rampa di scale, ce lo si ritrova lì in bella posa… e si può forse ignorare il sommo poeta tedesco? Chiedendogli di aspettare pazientemente il suo turno e salendo un’altra rampa di scale, tutto si fa più chiaro: al secondo piano l’arte dal tardo Medioevo all’inizio del Settecento, al primo l’arte moderna, al piano -2 l’arte contemporanea.
Ma siccome io avevo una vacanza di ben tre ore ho deciso, appunto, di vagare e ho visitato a gusto mio. Quindi Botticelli, Raffaello, Rembradt e Vermeer, nonché un congruo numero di pale d’altare tardogotiche che trovo sempre così affascinanti, li ho trovati solo dopo. Poco male, perché se è vero che il filo logico-cronologico è ferreo, ogni opera è un capitolo a sé e non ha bisogno di parenti e vicini attorno.
Intendo: un dettaglio che rende molto fruibile il museo è il fatto che ogni autore è rappresentato con pochissimi lavori. Magari non sempre una delle produzioni più importanti e felici, ma di certo capace di raccontare di quell’artista, di quel periodo, di quello stile. Per godere di Vermeer certo è meglio andare al Mautitshuis a L’Aia, ma Il geografo qui esposto basta ad aprire un cassetto della memoria, ad ammirare una tecnica e un’inventiva straordinarie, a lasciarsi affascinare dai dettagli.
Il museo, insomma, si presta a diversi livelli di fruizione. Dal ripasso di storia dell’arte al gioco di rimandi che si sono creati mano a mano che la collezione è cresciuta. Il “dialogo” più evidente, ma anche intrigante, è quello fra il Goethe neoclassico e la versione pop di Andy Warhol. Ma, a voler cercare bene, ci sono paralleli storici per nulla scontati. Ad esempio, la sgargiante Porta di Brandeburgo di Kirchner a cui fa eco un’alquanto cupa rappresentazione del Muro di Berlino di Rainer Fetting. Oppure i panorami di Francoforte prima della guerra e la vista offerta dall’affaccio in terrazza.
E qui devo darvi un consiglio. Scendendo al piano -2, spogliatevi da ogni pregiudizio. Lo so che l’arte contemporanea spesso è difficile, fa arrabbiare molti, non si disvela allo sguardo impreparato. Però, fate uno sforzo, potrebbe valerne la pena. Perché lo Staedel Museum non solo, negli anni, ha incrementato la collezione, ma ha anche adattato gli spazi. E l’immensa sala sotterranea, datata 2012, dedicata all’arte degli ultimi 60 anni, è davvero bella. Luminosa (perché sul soffitto ci sono oblò che fanno filtrare la luce dal giardino), suddivisa in spazi ma comunque aperta, dotata di una grazia architettonica non comune.
Detto in altri termini: non ci si sente respinti, ma, al contrario, affascinati. E, muovendosi a proprio agio fra le opere, ci si può sorprendere a sorridere, ad apprezzare un accostamento cromatico, a trovare interessante un dettaglio. Oppure a pensare che la moquette arrotolata è pur sempre moquette arrotolata e non opera d’arte. Ogni pensiero è ammesso, in fondo è un bellissimo esercizio di libertà.
Poi, per tornare alla realtà, basta uscire in giardino, recuperare una sedia e starsene per un po’ lì sospesi, fra i grattacieli scintillanti e gli alberi lucidi di pioggia. Per me quel volo cancellato è stata un’autentica fortuna. Ho visto qualcosa di bello e, al tempo stesso, mi sono regalata una mattinata di sospensione, senza nulla a cui pensare. Mi sono lasciata guidare e cullare dall’arte e ne è valsa la pena.