Fra le altre meraviglie, il decennio che ci siamo lasciati alle spalle ci ha regalato il selfie. Posa curiosa che osservo con diffidenza sin dal primo giorno. E dunque mi auguro che troveremo qualcosa di meglio per la prossima decade.
I giochi di parole mi sono sempre piaciuti molto. Sarà forse per questo che, la prima volta che ho sentito l’espressione “selfie”, nella mia testa è risuonato l’aggettivo inglese “selfish”, ovvero egoista. Credo che la mia antipatia di fronte a uno dei gesti più iconici degli anni Dieci del XXI secolo sia nata così. Non li posso soffrire, è più forte di me.
Però mettetevi nei miei panni. Nel bel mezzo di una spiegazione preparata con cura mi guardo intorno e vedo la metà dei visitatori intenti a farsi autoscatti. E’ abbastanza frustrante, ve lo assicuro. Tanto più che, con i selfie, a parte un bel faccione sorridente non si riprende poi granché. Da un lato la fatica per spiegare l’unicità di questo o quel monumento, dall’altro un turista distratto che si porta a casa sé stesso. Bel risultato, non c’è che dire…
In realtà, il fenomeno è iniziato un po’ prima, e cioè con l’avvento delle fotocamere digitali. Con le macchine fotografiche a pellicola ogni scatto era prezioso. Stampare le foto costava relativamente caro e, soprattutto, si aveva a disposizione un numero limitato di click. Poi nelle nostre menti si è creato il meccanismo per il quale, siccome se un’immagine è brutta la si può cancellare, la quantità ha prevalso sulla qualità. Così, se prima si cercava anche di capire che cosa si stava riprendendo, ad un certo punto si è diventati bulimici. Si fotografa a caso, senza cognizione di quel che si sta facendo. E questo significa che non si osserva più (e si ascolta ancor meno).
Il colpo di grazia, poi, è arrivato con gli smartphone e i social media. Non me ne voglia il buon Cartesio, ma oramai “posto ergo sum”. Lo sapete da voi e ne hanno disquisito schiere di sociologi, quindi non mi dilungo sull’argomento. D’altra parte ognuno fa del suo tempo (e del suo profilo Facebook) un po’ quel che vuole.
Solo che, tutte le volte che osservo qualcuno intento a farsi un selfie, non posso fare a meno di vederci una forma notevole di egocentrismo che sconfina sovente nell’egoismo. Giusto qualche giorno fa sono tornata all’eremo Santa Caterina del Sasso. Era la prima volta che ci mettevo piede dopo il confinamento della primavera scorsa. C’era una luce particolare e anche io, con il mio umile smartphone, volevo fare qualche foto. Ebbene: nel punto più bello e panoramico c’erano due ragazzi che hanno passato non meno di dieci minuti a scattarsi selfie incuranti di chi attendeva con pazienza il proprio turno. Avevano tutta l’aria di chi si crede influencer di grido. Ma per me erano solo due giovani maleducati ed egoisti.
E così arriviamo alla terza assonanza: da selfish a shellfish il passo è breve. Letteralmente “mollusco”. Però, analizzando la parola, se ne trovano due, cioè conchiglia e pesce. Per gli inglesi un mollusco è un pesce-conchiglia, o meglio un pesce racchiuso in una conchiglia. Sto divagando? Forse meno di quel potrebbe sembrare. Chiusi in un mondo di selfie e social media, non ci accorgiamo più di quel che accade intorno. Le valve della conchiglia a volte si aprono e, selettivamente, fanno filtrare qualcosa. Il che è esattamente quel che accade con Facebook e affini.
Sovente siamo così centrati su noi stessi da non vedere più quello che ci circonda. Una foto o un selfie diventano più importanti delle nostre emozioni e delle nostre sensazioni. Tutti noi vogliamo avere un ricordo di un bel posto che stiamo visitando. Questo è normale. E’ una maniera per fissare un istante. Ma con i selfie, a parte noi stessi, non si vede quasi nulla. E l’idea che ne traspare è sempre la stessa: io sono qui. Temo però che tra “sono” e “qui” non vi sia alcun reale collegamento a parte la presenza fisica. Non c’è comprensione di un luogo né tempo per cogliere i sentimenti, ascoltare il proprio respiro e lasciarsi incantare. C’è posto solo per contare i “like” e per godere della probabile (e desiderata) invidia degli altri.
Ma ne abbiamo davvero bisogno? Sarò una visionaria, ma sogno un mondo con un selfie in meno e un minuto in più per accorgersi di quanto bello, vasto e vario è il nostro povero pianeta.
p.s. In alto alla pagina vedete la mia versione di selfie. Io e non-io allo stesso tempo. E, ahimè, le mie gambe non sono così lunghe!