E’ uno dei colossi più grandi del mondo e di sicuro uno dei simboli del lago Maggiore. E qui vi racconto perché il san Carlone di Arona è una meta imperdibile.
Riscoprire le bellezze d’Italia è l’imperativo della strana estate che si preannuncia. E se, fino a qualche mese fa, in tanti sognavano il sole dei Caraibi o i panorami mozzafiato dei parchi nazionali americani, ora il nostro orizzonte è decisamente più ristretto. Ma non disperiamo. Il “Bel Paese”, così come lo definì l’abate Stoppani, offre talmente tante mete che non basta una vita intera per apprezzarle tutte. Anche la Guida Curiosa vuole dare il suo piccolo contributo e dunque oggi vorrei raccontarvi di una perla sconosciuta ai più: il colosso di san Carlo Borromeo di Arona (NO). Questo il nome ufficiale. L’affetto degli aronesi l’ha però ribattezzato san Carlone e ancora oggi tutti lo chiamano così.
Di che cosa ti tratta? Per spiegarlo in poche parole, si tratta di un’enorme statua che rappresenta, ovviamente, san Carlo. Per dare un’idea, il san Carlone misura, in altezza, 23,40 metri, cui vanno sommati gli 11,70 metri del poderoso piedistallo. In totale, dunque, poco più di 35 metri, il che ne fa il secondo monumento più alto al mondo (fra quelli in cui è possibile entrare). Facile dire chi si trovi in cima alla classifica: la Statua della Libertà, naturalmente. E se, dal punto di vista dei metri, non c’è paragone fra il capolavoro di Auguste Bartholdi e il nostro San Carlone, bisogna però precisare un dettaglio. Ad Arona i lavori di costruzione del colosso terminarono nel 1698, ossia 177 anni prima dell’apertura del cantiere della baia di Manhattan.
Se vi state chiedendo che cosa ci faccia un enorme san Carlo sulle rive del lago Maggiore, vi accontento subito. L’idea fu del cardinale Federico Borromeo, cugino e successore di Carlo, e doveva far parte di un progetto ancora più ambizioso. Su impulso del padre oblato Marco Aurelio Grattarola, egli decise infatti di far realizzare un Sacro Monte sullo sperone di roccia che domina il borgo di Arona. Il percorso, composto di 15 cappelle, avrebbe dovuto lumeggiare la storia del santo di casa Borromeo e si sarebbe dovuto concludere con la grandiosa statua.
La location fu scelta non solo per motivi paesaggistici, ma soprattutto in virtù del fatto che san Carlo nacque proprio lassù, nella fortezza prospiciente il lago. La rocca non esiste più: Napoleone Bonaparte decise di farla smantellare all’inizio dell’Ottocento e non ne restano che pochi ruderi. A dirla tutta, neanche il progetto del Sacro Monte ebbe grande fortuna. La peste che imperversò in Lombardia fra il 1629 e il 1631 e la morte del cardinale di fatto causarono una battuta d’arresto nei lavori di edificazione, che ricominciarono e si conclusero in tono molto minore all’inizio del XVIII secolo. Di fatto, solo la chiesa a conclusione del percorso vide la luce. Di altre tre cappelle si intuisce l’elegante sagoma, ma questo è più o meno tutto.
Per nostra fortuna, la fabbrica del colosso procedette comunque e il San Carlone potè essere inaugurato, come vi dicevo, sul finire del XVII sec. A realizzare il progetto concorsero Giovanni Battista Crespi, che realizzò il disegno, e gli scultori Siro Zanella e Bernardo Falconi. Questi ultimi sagomarono lastre di rame che furono poi unite con chiodi e tiranti.
E qui consentitemi una riflessione. Tante volte, accompagnando visitatori al cospetto del San Carlone, mi è capitato di notare poco entusiasmo. Tante facce esprimono un sentimento che potrei rubricare come “tutto qui?”. Vi dico la verità: di solito cerco di essere diplomatica, ma la tentazione di rispondere “ci provi lei, se ne è capace” è piuttosto forte. Credo che, viaggiando, si dovrebbero lasciare i pregiudizi a casa e provare a lasciarsi stupire. Perché bisogna essere dei visionari per pensare di costruire un ritratto alto 35 metri sulla sommità di una falesia, visto che nei secoli precedenti nessuno aveva osato tanto. Perché chi progettava sapeva che ben difficilmente avrebbe visto il risultato della sua fatica. O anche semplicemente perché i mezzi a disposizione nel Seicento erano la forza animale, i chiodi e i martelli.
Ma torniamo a noi. Il San Carlone all’interno è cavo. Dunque, esattamente come per la Statua della Libertà, c’è la possibilità di entrare e di salire fino alla testa. Ci si può affacciare dagli occhi e la vista da lassù è veramente mozzafiato. Non è però un’esperienza per tutti. Più che di una salita si tratta di un’arrampicata, considerato che la scala di accesso è verticale (una sorta di scala a pioli ingabbiata). I meno temerari, e io faccio parte della categoria, possono accontentarsi di raggiungere la terrazza del piedistallo. Anche da lì il panorama è notevole. Non solo si ammira il lago Maggiore in tutta la sua bellezza: volgendo lo sguardo verso l’alto, cervicale permettendo, si riesce ad apprezzare il colosso in tutta la sua maestosità.
E se, arrivando sul piazzale, si può rimanere un po’ delusi, arrivando al piedistallo si capisce la grandiosità e l’ambizione che animarono i committenti. San Carlo, così ci dicono le cronache, era un gigante. Era certo molto più alto rispetto alla media del tempo, ma soprattutto per i milanesi fu baluardo in un’epoca buia e contorta. Non a caso, a distanza di secoli, è ancora figura amatissima e molto conosciuta. Talmente amata che, anche passeggiando nel centro di Arona, si può trovare un altro ritratto il cui nomignolo è San Carlino. Il motivo del soprannome mi pare evidente, così come l’affetto che da quattro secoli lega il lago Maggiore, e Arona in particolare, alla figura del santo vescovo.