Il Museo Moto Guzzi è un’autentica sorpresa. Non solo per gli appassionati, ma anche per chi, come me, di motori non capisce proprio nulla.
Quando, circa un mese fa, mi hanno chiesto di accompagnare dei clienti al Museo Moto Guzzi, ho accettato più per dovere che per autentico interesse. Di motori capisco poco o nulla, le motociclette non mi affascinano e la prospettiva di tradurre in tedesco cose che nemmeno comprendo in italiano mi inquietava. Ma amo il mio lavoro quanto basta per accettare una sfida. Ebbene, sono uscita dal museo letteralmente stregata. Quindi, se capitate dalle parti di Mandello del Lario (LC), non perdetevelo.
Provo a spiegarvi perché. Basta andare su Wikipedia per leggere la storia di Carlo Guzzi e Giorgio Parodi, che sul finire della Prima Guerra Mondiale decisero di iniziare la produzione di motociclette. Storia abbastanza comune per quell’epoca, quando ancora si aveva una grandissima fiducia nei progressi della tecnica e meno problemi con la burocrazia. Però, al tempo stesso, la loro vicenda è speciale per via dei dettagli. Tanti e significativi.
Partiamo dal nome. Il primo prototipo, l’unico che non fu prodotto negli stabilimenti di Mandello, è chiamato G.P., cioè Guzzi Parodi. Guzzi aveva le idee, Parodi, che era erede di una dinastia di armatori genovesi, i soldi. Si potrebbe pensare che i due litigarono ben presto e che per questo motivo il marchio assunse il solo cognome di Carlo. Nulla di più sbagliato. Fu proprio Parodi a rinunciare alla sua “P”, sia perché il marchio G.P. poteva essere interpretato come le iniziali del suo solo nome sia perché pensava che fosse giusto esaltare Guzzi, visto che lui ci aveva messo “solamente” il capitale. Quando l’ho saputo mi sono immediatamente chiesta quanti, al giorno d’oggi, sarebbero così generosi. Temo pochi.
Ma andiamo avanti. Il marchio della Guzzi è un’aquila con le ali spiegate. Si tratta di un altro omaggio, fatto a Giorgio Ravelli, che era pilota ed aviatore nonché il terzo socio dell’impresa. Morì in un incidente aereo e i due amici lo vollero ricordare con l’immagine dell’indomito rapace. Non a caso molti dei modelli prodotti hanno il nome di volatili, proprio a voler suggerire la passione di Ravelli per il volo.
Sin da subito le innovazioni tecniche furono decisive. Alcune immediatamente copiate da altre case produttrici, altre, invece, ingiustamente snobbate. Ma a Mandello non si davano per vinti. Emblematico è il caso della G.T., classe 1928, la prima dotata di telaio elastico. Stroncata dalla stampa specializzata, che prevedeva gravi conseguenze per il pilota, fu riabilitata quando Giuseppe Guzzi, fratello di Carlo, riuscì in un’impresa epica: in 28 giorni raggiunse Capo Nord, consumando solo 128 litri di benzina e sostituendo tre pneumatici. La motocicletta fu ribattezzata Norge, come il dirigibile della celebre spedizione di Nobile.
Faccio veramente fatica ad elencarvi tutte le intuizioni tecniche, anche perché ci capisco proprio poco. Però alcuni prototipi esposti nel Museo sono affascinanti anche per i profani: dalla motocicletta con gli sci (progettata per la Polizia finlandese) sino a un triciclo, che fu utilizzato da Carlo Guzzi negli ultimi anni della sua vita. Sempre desideroso di rimanere in contatto con i suoi collaboratori, prese a spostarsi all’interno della fabbrica con quel curioso motociclo, peraltro dotato di pratico portadocumenti posizionato sotto al sellino. Che dire poi dei primi scooter pensati per le donne? Fu sempre Guzzi ad intuire che, nell’epoca del boom economico degli anni Cinquanta, anche alle signore avrebbe fatto comodo andare a fare la spesa in maniera facile e veloce.
Un discorso a parte merita poi la galleria del vento, una delle prime mai realizzate al mondo. Anche altre case costruttrici, quali la tedesca BMW, affittavano quel prodigio della tecnologia che ancora si può vedere (dall’esterno). Nel museo si ammira un modellino, ma tanto basta per suscitare non poco stupore. Di solito, visto il grande impiego di energia elettrica che necessitava, veniva azionato dopo il turno di lavoro degli operai e non sono pochi quelli a Mandello ricordano il poderoso fragore che causava, simile a quello prodotto da diversi aeroplani in volo. La “chicca” è però un’altra: pare che la nazionale italiana si sia avvalsa di alcuni test realizzati nella galleria del vento della Moto Guzzi per realizzare i bob che poi contribuirono a conquistare diverse medaglie ai Giochi Olimpici di Cortina d’Ampezzo.
E questo, credo, è significativo. Dimostra come la Moto Guzzi sia stata un’impresa a tutto tondo, votata all’innovazione così come all’interesse per tanti altri aspetti che riguardavano la brulicante società italiana degli anni Cinquanta e Sessanta. Mi immagino Carlo Guzzi come un uomo curioso e attento, capace sì di sognare, ma anche di fare. A Mandello il sogno vive ancora. Benché la fabbrica sia oramai popolata solo da un centinaio di dipendenti, l’orgoglio di far parte di un’azienda tanto gloriosa è palpabile. Anche gli abitanti della cittadina lariana hanno una passione sincera, che non è tanto campanilismo, quanto capacità di cogliere la grandezza della “loro” azienda.
Un ultimo dettaglio: ho ricevuto queste (e molte altre) informazioni da Alberto, motociclista appassionato, che si è prestato a fare da guida al mio gruppo. Senza di lui e senza il suo entusiasmo non sarei stata capace di cogliere l’anima del Museo. Lo ringrazio di tutto cuore, a riprova del fatto che per vedere davvero serva qualcuno in grado di trasmettere amore e conoscenza.