Ammetto che per accorgersi della mano effigiata su un palazzo di place Saint Louis, a Metz, bisogna avere un acuto spirito di osservazione. Ma la sua storia è figlia delle travagliate vicende che per secoli hanno interessato la Lorena. E racconta di come l’ironia valga più di mille parole.
Non so voi, ma quando sento nominare la regione francese della Lorena, il mio primo pensiero è “Alsazia”. Intendiamoci: so bene che Alsazia e Lorena sono due zone ben distinte, ma le mie reminiscenze scolastiche fanno sì che nella mia mente vadano a braccetto. Come due gemelle. O, anche, come due buone amiche. Magari a qualcun altro di voi accade lo stesso. D’altra parte, da Carlo Magno in avanti, ogni qualvolta che c’era da firmare un trattato di pace, Alsazia e Lorena diventavano variamente tedesche oppure francesi. Sto generalizzando, lo so. Ma perdonatemi. Se dovessi riassumere nei minimi termini la storia delle due regioni, scriverei più o meno: contese per secoli da Francia e Germania.
Perché ve lo dico? Forse perché talvolta mi piace rispolverare i miei ricordi liceali. O forse perché la mano di pietra che si scorge su un palazzo di place Saint Louis a Metz ha a che fare con questi andirivieni storici. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare non si tratta di un’antica indicazione stradale. E’ più o meno un’insegna pubblicitaria. Più o meno perché di solito i cartelli erano parlanti: dal segno rappresentato si capiva quale tipo di negozio si trovasse nei pressi. Non in questo caso. Al numero 29 della piazza non si vendevano guanti né si praticava la nobile arte della chiromanzia. Il proprietario della bottega, tale Jean-Baptiste Maillard, detto Emil, commerciava in stoffe e scelse il suo emblema in virtù di un episodio che lo rese famoso in città.
Prima di raccontarvi del commerciante, permettetemi una breve digressione. Con la Guerra Franco-Prussiana (1870-71), Metz, che era diventata francese nel 1552, fu conquistata e occupata dai tedeschi. Questi ultimi fecero le cose in grande, tanto che in città c’è un intero quartiere che testimonia quel periodo. Gli invasori si installarono in edifici moderni costruiti a ridosso del centro storico e da lì potevano controllare la Mosella e l’intera regione della Lorena. E’ ancora oggi molto interessante visitare quella zona anche perché è piuttosto significativa dal punto di vista architettonico. E’ ovvio però che il rapporto fra locali e tedeschi non fu idilliaco, bensì caratterizzato da un costante malumore che, a volte, sfociava in discussioni, scaramucce e autentiche rappresaglie.
E proprio una zuffa fu quella di cui fu protagonista il buon Maillard. Costui, fiero “messino” (così si chiamano gli abitanti di Metz) e francese fino al midollo, mal sopportava la tracotanza dei prussiani. Fu così che un giorno, durante una discussione con un non meglio precisato “emissario” dei tedeschi, al colmo del furore ebbe l’ardire di schiaffeggiare l’avventore filo-guglielmino. Il quale non tardò a denunciare l’accaduto alla pubblica autorità. Per farla breve: il commerciante fu condannato a pagare una forte ammenda e a trascorrere due mesi in prigione.
Quindi Emil, vinto il primo round in piazza, perse il secondo in tribunale. Ma non si perse d’animo. Anzi: uscito di galera pensò bene di chiamare la sua boutique La main d’or e fece domanda all’apposito ufficio per ottenere il permesso e depositare il logo. Ovviamente, i solerti quanto ottusi burocrati prussiani concessero l’utilizzo del nome e del marchio non rendendosi conto che si trattava di una provocazione bella e buona. A tutti, a Metz, era chiaro il rimando al manrovescio che monsieur Maillard aveva rifilato al suo avversario. Ironia muta, ma forse non così sottile… poco importa: i tedeschi non ebbero mai a dogliarsi della bella mano destra dorata che campeggiava sulla vetrina del negozio.
Poi Metz, a seguito della Grande Guerra, tornò alla Francia. Ma durante il secondo conflitto mondiale fu nuovamente occupata dai tedeschi. A guerra conclusa, nel 1945, il nipote di Emil, André, non meno fiero del nonno, scelse un modo curioso per ricordare a tutti che anche lui aveva subito un grave torto dai tedeschi: con la sua famiglia fu costretto a lasciare in fretta e furia la città, perdendo praticamente tutto. E quale maniera migliore se non rispolverare l’antico vessillo di famiglia? Il giovane Maillard chiese dunque di poter installare la scultura di una mano sulla facciata del palazzo avito. Per ricordare lo schiaffo dato dal nonno, la sua ribellione e, anche, la sua sagace ironia.
Pare che in Municipio, all’epoca della ricostruzione post-bellica, tutti avessero questioni più urgenti a cui pensare e dunque nessuno trovò da ridire a riguardo dell’installazione, su un edificio storico, di una mano. Che, e questo è singolare, da destra si è trasformata in sinistra. Se nel logo scelto da Emil Maillard si vedeva il dorso, ora sulla facciata si vede il palmo della mano. Errore dell’artista sicuramente, ma di poco conto.
La storia della mano di place Saint Louis è oramai quasi dimenticata ed è un peccato. Tante volte più che mille parole, spiegazioni e risentimenti, basta un po’ di ironia per farsi beffe degli interlocutori fastidiosi. Ricordiamoci dunque del signor Emil e della sua prontezza di spirito: lo sguardo annebbiato di avversario beffato non ha prezzo!