La Galerie Dior: come godere della moda senza fare shopping!
Decisamente non sono una fashion addict ma, devo ammettere, che davanti a un vestito di Dior (o a una delle sue borse) cedo anch’io. Appena ho letto dell’apertura della Galerie Dior a Parigi, ho pensato che volevo assolutamente andarci. Mi accaparro i biglietti on-line e sono pronta. La mattina prescelta, piove. Nonostante sia giugno, l’aria è decisamente fresca e il cielo grigio ma appena si attraversa il portone dell’ 11 rue François 1er, tutto cambia. L’ingresso già basterebbe: sulla scala sono stati posizionati tutti gli oggetti e gli accessori che hanno fatto la storia della Maison… in tutte le sfumature di colore possibili. J’adore!
Il resto della Galerie Dior non è da meno: un vero inno all’haute couture parigina. Però non aspettatevi solo vestiti: qui viene raccontato l’intero processo creativo. Ci sono schizzi, bozzetti, fotografie. L’ispirazione per un abito può nascere da qualunque cosa: dalle rose del giardino della casa di famiglia a Grainville, sulla penisola del Cotentin, come da una pubblicità. Amo questo modo di raccontare la creatività attraverso continue contaminazioni. Questo luogo racconta la passione per la moda ma è anche un inno d’amore alla manualità e al savoir faire.
La storia del successo di Christian Dior nasce da un piccolo atelier: al 30 Avenue Montaigne, qui accanto. Un minuscolo studio, un salone per la presentazione delle creazioni, una cabine, cioè un camerino per le modelle. Dior si innamora di questo luogo e lo trasforma in un leggenda. Crea un “rifugio delle meraviglie”. Direi che la definizione è perfetta ancora oggi.
Faccio fatica a scegliere quale abito vorrei potermi portare a casa (anche se credo cederei al classico New Look del 1947). D’altra parte, qui si celebra non solo la storia della moda ma anche la storia delle donne dal secondo dopoguerra ad oggi: certi abiti raccontano un modo di essere, non sono solo vestiti. Sono stupita dalla cura e dall’amore con cui è stata allestita questa galleria: scenografia, luci, colori. Tutto è orchestrato per ottenere una narrazione straordinaria. D’altra parte, Dior amava dire che “lo stilista è uno degli ultimi custodi di meraviglie rimasti.”. Una sorta di fabbricante di sogni.
Quando arrivo alla sala dedicata alla vera e propria ‘fabbricazione’ degli abiti, il mio colpo di fulmine è definitivo. Sulle pareti ci sono tutti gli abiti di prova: i modelli ‘base’ realizzati in tela bianca per essere sperimentati prima della realizzazione. Io non so neanche attaccare un bottone, ma ho sempre invidiato l’abilità manuale di mia madre ma soprattutto di mia nonna e della mia bisnonna. Sarte e ricamatrici strepitose. Tutto nelle loro mani sembrava facile. Due sarte della Maison mostrano ai curiosi come si passa, fattualmente, dal bozzetto al modello. Tagliano, misurano, imbastiscono… Mi incanto a guardarle e ad ascoltarle. E non sono l’unica.
L’ultima parte dell’esposizione racconta l’evoluzione della Maison dopo la scomparsa del suo fondatore. Ogni direttore artistico ha lasciato la sua impronta e quella del suo tempo, nel rispetto assoluto dell’ispirazione originale. Non tutti mi piacciono, ma alcuni sono delle vere e proprie opere di arte contemporanea. Non oso immaginare il numero di ore di lavorazione necessarie per realizzare certi modelli. Esco da qui solo con un po’ di disappunto per un pessimo caffè e con il rimpianto di non aver comprato, molti anni fa, uno splendido cappotto vintage di Dior.