Ci sono animali dalla storia curiosa. Da lontano sono giunti in Europa per omaggiare potenti e sovrani. L’elefante Fritz e la giraffa Zarafa non sono solo che esempi.
Sono appena stata nel Chianti e non sono stati solo i vini e i meravigliosi paesaggi ad incuriosirmi. Facendo colazione in hotel, ad esempio, è stata una stampa ad attirare la mia attenzione. Vi si vedono due zebre sormontate dalla dicitura: Zulma e Zuleika le due zebre offerte in dono al Maharagia Takht Singh di Jodhpur da sua altezza il Re di Mupti. Potevo forse reprimere l’istinto di saperne di più? Ovviamente no, solo che, purtroppo, al momento ho scoperto ben poco, cioè solo chi fosse e quando sia vissuto l’esimio Takht Singh. Bastano Wikipedia e una minima conoscenza dell’inglese, visto che la pagina italiana ancora manca.
D’altra parte, questa ricerca ha fatto riaffiorare nella mia mente la storia di alcuni animali passati alla storia. Non mi riferisco tanto agli elefanti che, con Annibale, attraversarono le Alpi. E nemmeno alle oche del Campidoglio o ai piccioni viaggiatori utilizzati dagli inglesi durante la Seconda Guerra Mondiale. Gli “animali storici” sono tanti e non hanno nomi, per lo stesso motivo per cui si ricordano i nomi dei re e dei condottieri, ma non quello dei fornai o dei fanti dell’esercito.
Eppure, qualche animale un nome (e una vicenda bizzarra) l’ha avuto, tanto da essere più o meno ricordato sino ai giorni nostri. Forse proprio perché sono appartenuti ai potenti di ogni epoca. Basti pensare a Bucefalo, il cavallo di Alessandro Magno, o a Condé, il destriero preferito di Federico II di Prussia. Ma, effettivamente, le loro storie non sono particolarmente curiose, a differenza degli animali, soprattutto esotici, che furono donati per stringere alleanze e per ingraziarsi i sovrani.
L’elefante di Carlo Magno
Sapete, ad esempio, che Carlo Magno aveva un elefante? Si chiamava Abul Abbas. Il poverino visse circa otto anni in Germania, prima alla corte di Aquisgrana e poi, pare, ad Augusta. Luoghi troppo freddi in ogni caso, per cui, com’era facile prevedere, il pachiderma non si adattò mai al clima nordico e morì di polmonite. Non prima, però, di essere stato oggetto di ammirazione degli ospiti dell’imperatore: un elefante al nord delle Alpi non s’era mai visto, tanto più un elefante albino! Abul Abbas, infatti, era particolare in molte cose: primo elefante arrivato in Europa settentrionale, albino e primo ad essere impiegato come micidiale “arma” durante la guerra (sempre al nord Europa perché in Italia ci aveva già pensato Annibale).
Abul Abbas arrivava addirittura da Baghdad ed era il dono che il califfo Harun al-Rashid decise di inviare al re dei Franchi per suggellare un rapporto di amicizia e collaborazione a discapito dell’Impero Romano d’Oriente. Il suo avventurosissimo viaggio toccò dapprima Gerusalemme e lambì poi le coste del Mediterraneo fino a Cartagine. Da lì una comoda crociera lo condusse sino a Portovenere. Il percorso proseguì a piedi verso le Alpi, attraversando pure Vercelli, fino a giungere alla meta finale, la capitale di quello che, nel frattempo, era diventato il Sacro Romano Impero. Il viaggio durò cinque anni e si concluse il primo luglio 802. Ad accompagnare Abul Abbas c’era un mercante ebreo, tale Isaac, che recava altri preziosi doni, a partire da alcune meraviglie tecnologiche sconosciute in Europa. Come detto, l’elefante albino non resistette a lungo nella fredda landa tedesca e spirò nell’810.
… e quello di Carlo Felice
Ben più longevo fu il soggiorno di un altro elefante, anch’esso recato in dono da un sovrano extra-europeo. Si chiamava Fritz e trascorse circa 25 anni nel parco della palazzina di caccia di Stupinigi. Fritz, elefante indiano, proveniva dall’Egitto, regalo del viceré d’Egitto Mohamed Alì per Carlo Felice, re di Sardegna. Anche a questo pachiderma toccò un lungo viaggio, prima in nave, da Alessandria d’Egitto a Genova, e poi a piedi (per fortuna solo fino a Torino). Per Fritz fu costruito un alloggio nonché una vasca circolare dotata di scivolo, affinché potesse entrarci e uscirne agevolmente. Ma la vera curiosità è la dieta che gli venne riservata: 50 pagnotte, 24 cavoli, riso e burro, acqua zuccherata e… una o due pinte di vino (nonché del tabacco). Le cronache dell’epoca registrano frequenti indigestioni, che venivano curate, vai a sapere il perché, con del vino!
Purtroppo la fine di Fritz non fu fra le più felici. Quando il suo custode, cui era con ogni evidenza molto affezionato, morì, l’elefante uccise il nuovo inserviente scagliandolo a terra con la sua proboscide. A quel punto si decise per l’abbattimento: il pachiderma fu asfissiato con il gas. Comunque il povero Fritz si trova ancora, imbalsamato, a Torino, esattamente nel Museo Regionale di Scienze Naturali.
Per non parlare delle giraffe
E, a proposito di musei, se a Parigi vi capitasse di visitare il Musée Carnevalet, potreste incappare nelle vetrine che raccontano la storia di Zarafa, la giraffa donata dal sultano Muhammad Ali d’Egitto al re di Francia Carlo X. Va detto che Muhammad non era particolarmente fantasioso quanto a regali: pure il re d’Inghilterra Giorgio IV e l’imperatore Francesco I d’Austria ebbero la loro giraffa. Ma a Vienna e a Windsor i due animali ebbero vita breve. Mentre a Parigi, al Jardin des Plantes, Zarafa si trovò piuttosto bene, tanto che visse ancora 25 anni.
In Francia scoppiò un’autentica giraffomania, con tanto di gadget e pasticcini dedicati alla giraffa. Fatto curioso, in diversi villaggi interessati dal suo viaggio da Marsiglia alla capitale si decise di dedicarle una via. Ne restano tracce toponomastiche a Chagny, in Borgogna, dove ancora esiste Rue de la Girafe 1827 (quest’ultimo numero è l’anno in cui Zarafa giunse sul suolo francese). E a Marsiglia si sono sentiti in dovere di intitolare proprio all’illustre animale un’enorme statua, dotata di giraffino, che serve come sede per il book-crossing. Non a caso, l’opera di chiama Zarafa III la girafe bibliothèque.
E’ facile immaginare che nell’Ottocento vedere una giraffa dal vivo fosse un’esperienza straordinaria e dunque l’entusiasmo francese è del tutto comprensibile. Immaginatevi allora quello dei fiorentini quando, nel 1487, sulle rive dell’Arno poterono ammirare una giraffa autentica, donata da Malfot, ambasciatore del sultano d’Egitto, a Lorenzo de’ Medici. Scrivo “autentica” perché già qualche tempo prima il Magnifico aveva fatto realizzare un fantoccio di giraffa per animare alcuni spettacoli pubblici. Pare che Lorenzo ci tenesse particolarmente per via del fatto che Giulio Cesare, nell’antica Roma, avesse a disposizione l’esotico animale. E di certo il Magnifico non voleva essere da meno… Giorgio Vasari immortalò la scena della ricezione del pregevole dono in un quadro tuttora visibile a Palazzo Vecchio. Non conosciamo il nome dell’animale, passato alla storia come Giraffa Medici; sappiamo però che artisti dal calibro del Ghirlandaio e di Andrea del Sarto si affrettarono a rappresentare l’animale dal lungo collo nelle loro opere.
Da ultimo, per quanto sia storia molto più recente, avendo accennato a Torino, non posso fare a meno di menzionare qui anche Romeo, un’altra giraffa. Da bambina la sua storia mi colpì molto: nel 1987, quando si decise di chiudere lo zoo del parco Michelotti, l’unico animale che non si riuscì a ricollocare fu proprio la giraffa Romeo, che rimase tutta sola in riva al Po. Non sono mai riuscita a sapere che fine le abbiano fatto fare, anche se spero nell’happy ending. Poi, se qualcuno avesse notizie su Zulma e Zuleika…