A Castel San Pietro, in Canton Ticino, c’è una chiesa la cui facciata è interamente rossa. Rossa come l’efferata notte di Natale del 1390, quando la lotta fra famiglie rivali raggiunse il suo acme.
In nomen omen si diceva un tempo. E in effetti, Castel San Pietro spiega tutto sin dal nome. Antico fortilizio posto a guardia della valli di Muggio e del Mendrisiotto, era dotato di una cappella dedicata all’apostolo vicario di Cristo. Del castello non si vede più nulla; la chiesa, invece, è stata oggetto di diversi interventi e riedificazioni, ma è ancora lì al suo posto. E tutti la conoscono come “chiesa rossa”.
Il soprannome è facile a comprendersi: la sua facciata è dipinta di rosso, fatta eccezione per la lunetta posta sopra alla porta d’accesso, dove un affresco assai rovinato mostra san Pietro e la sua imbarcazione. Sopra alla lunetta un bassorilievo reca un ritratto del vescovo comasco Bonifacio da Modena e ricorda che, proprio grazie al presule, l’edificio fu consacrato nel 1345. Fu un altro prelato, Filippo Archinti, a pretendere che nel 1559 l’esterno fosse tinteggiato con un’accesa tonalità scarlatta. Qualche volta si legge che, in questo modo, voleva ricordare quel che era accaduto durante la Messa del Natale del 1390, quando un centinaio di persone furono trucidate a causa della lotta fra i Rusca e i Busioni. Ghibellini gli uni, guelfi gli altri.
In realtà le cose stanno un po’ diversamente perché la facciata rossa non fu realizzata per rammentare alcunché. Il rosso è solo un retaggio del periodo della Controriforma, quando si optava per questo colore per segnalare a chi veniva da lontano la presenza di una chiesa. Insomma: si trattava di una maniera per mostrare un baluardo del Cattolicesimo là dove la dottrina di Lutero stava facendo una certa presa. La tonalità accesa, oltre ad essere facilmente individuabile, era un chiaro richiamo alla Passione di Gesù.
Chiarito questo, torniamo all’eccidio. Perché, anche a questo proposito, la storia è più complicata di quel che potrebbe sembrare. Certo l’acredine fra i partigiani del Papa e quelli dell’Imperatore creava scompiglio e guerre fratricide in Italia, ma è curioso come di un fatto così efferato rimanga memoria solo a livello di cronaca locale. Tanto più che c’è di mezzo una storia d’amore. Anche il canton Ticino ha i suoi Romeo e Giulietta. Peccato solo che Shakespeare si sia interessato alle vicende veronesi e non a quelle prealpine. Dovrete dunque aver pazienza e accontentarvi della mia umile prosa.
Succedeva dunque che i Rusca, potenti nobili comaschi, capaci nel corso dei secoli di farsi strada tanto verso la Milano dei Visconti quanto verso la Svizzera centrale, avevano diversi interessi nel Mendrisiotto. Il perché è facile a dirsi: la regione è il naturale collegamento fra lago di Lugano e lago di Como. Non l’unico, ma di sicuro uno dei più agevoli. E in un’epoca in cui i laghi prealpini erano l’equivalente delle autostrade dei nostri tempi, assicurarsi il controllo di un passaggio percorso da centinaia di mercanti significava avvantaggiarsi dal punto di vista economico e politico. Ovviamente i Rusca non erano gli unici interessati al business. Dunque, la rivalità con i guelfi Busioni (o Bosia) si fece molto accesa.
E fin qui nulla di strabiliante. Ovunque andiate in Italia vi racconteranno vicende simili. Ma qui c’è il risvolto “romantico” della faccenda. E a breve capirete il perché delle virgolette. Accadde infatti che Viscardo Rusca si invaghì, pare ricambiato, di Lavinia Busioni. Amore contrastato da entrambe le famiglie, naturalmente. E questi poverini non avevano nemmeno Whatsapp et similia per frequentarsi in segreto. Epoca grama indubbiamente. Tanto più che Viscardo non andava troppo per il sottile. Avendo udito il padre di Lavinia, Antonio, affermare che mai avrebbe dato il suo assenso alle nozze al punto che avrebbe preferito uccidere la sua unica figliola, il rampollo di casa Rusca non ci pensò su due volte e, aiutato da alcuni fedelissimi, fece irruzione in casa del “suocero” e uccise nove degli undici futuri cognati.
Non pago, Viscardo tentò di lì a poco una nuova incursione, questa volta per rapire Lavinia. Ma i Busioni erano pronti all’attacco e a rimetterci la vita fu proprio il Rusca. Di lì le rappresaglie continuarono, fino a che la vittima non fu addirittura Margherita, madre di Lavinia. E fu a causa di quest’ultimo delitto che i due figli superstiti di Antonio, che erano riparati a Napoli, in gran segreto fecero ritorno a casa e organizzarono il massacro della notte di Natale. Nessuno fu risparmiato: non i Rusca, né i loro alleati né i semplici contadini locali accorsi con le loro famiglie per celebrare la Messa. Nemmeno il prete si salvò. Sembra che Lavinia, così come uno dei suoi due fratelli, scelsero di rinchiudersi in monastero, ma non ho trovato notizie attendibili a questo riguardo.
La chiesa di San Pietro fu ovviamente sconsacrata e chiusa per diversi secoli. Il che rappresenta per noi una grande fortuna perché all’interno le decorazioni ad affresco sono una meraviglia. Le si ascrive a un seguace del Maestro di Sant’Abbondio e sono una preziosa testimonianza della pittura della metà del Trecento in Lombardia. Non sono una storica dell’arte e lascio a voi il gusto della ricerca, però posso dire che entrare nella chiesa rossa, dagli spazi così misurati e luminosi, e lasciarmi incantare dalla precisione e dalla ricchezza degli affreschi è stata per me una bellissima esperienza. Nella loro didascalica semplicità le immagini hanno una potenza evocativa commovente. Non è da trascurare il fatto di potersi avvicinare molto, di poter indugiare davanti ai dettagli, di poter guardare e riguardare.
Par di vedere ancora i poveri analfabeti che entravano nella chiesa per una preghiera e intanto si lasciavano ammaestrare da quelle figure vivaci. Me le immagino le donne oranti di fronte alla Madonna in trono con un nerboruto Gesù Bambino. E’ proprio sgraziato, ma forse le mamme del tempo si auguravano di cuore che i loro piccoli potessero crescere così forti e robusti. E mi figuro anche i giovani intenti a contemplare la scena della chiamata di Pietro. Anche qui tanti erano i pescatori, ma forse si veniva chiamati alle armi più che alla vita ascetica. E che dire di Pietro in carcere o della rappresentazione delle Sante martiri con Santa Caterina? Tutto poteva essere letto, capito, fatto proprio. Tutto poteva essere calato nella realtà del tempo.
Ma, al di là dell’apparato decorativo, è l’atmosfera ad essere incomparabile. La chiesa rossa è ancora oggi appartata e infatti bisogna percorrere un breve sterrato per raggiungerla. Una volta arrivati il contrasto cromatico fra il blu del cielo, il verde della vegetazione e il rosso della facciata è talmente abbacinante da essere già una sorpresa. E poi, una volta varcata la soglia, si viene catapultati in un tempo antico. Fatto di sentimenti violenti e ferini, ma anche di ricerca del bello e del vero.
Epoca di forti contrasti, senza dubbio. Mi è sembrata lontana eppure tanto vicina. Meglio affidarsi al bello, sempre. E trovare spasimanti con più sale in zucca di Viscardo Rusca. Ché quello è tutto fuorché amore.