Si va a Capo Nord per il Sole a mezzanotte o per l’aurora boreale. Tutto vero. Ma credo che Capo Nord sia soprattutto la scusa per intraprendere un viaggio dell’anima e dei sensi.
Sembra evidente, ma è bene ricordarlo sempre. Per Capo Nord non ci si passa: ci si va. Non solo per facili questioni geografiche (dopotutto Capo Nord è alla fine del mondo, naturalmente non si può andare oltre), ma perché arrivarci è un’autentica conquista. Purché si sia scelto di viaggiare per vedere con gli occhi e con il cuore e non per far sapere agli amici virtuali che si è arrivati fin lassù.
Per questo ho deciso di raccontarvi il mio viaggio verso Capo Nord. Perché mai come in quell’occasione mi è stato chiaro che è il viaggio, più che la meta, quello che conta veramente.
Prendete l’immagine qui sopra. Oldelfjord. Doveva essere solamente una tappa di pochi minuti, sosta tecnica si direbbe, eppure sono certa che nemmeno uno dei viaggiatori che erano con me non abbia una foto simile. Certo per il bel paesaggio e per i colori. Di sicuro per la stranezza di trovare una sedia più o meno abbandonata in un luogo assai remoto. Forse anche per l’aria pura che si respirava da quelle parti: era la possibilità di fissare in qualche imperfetta maniera le sensazioni che diventavano emozioni. Ma credo che, incosciamente, ci fosse dell’altro. Era raggiungere un piccolo traguardo, abituarsi lentamente al fascino della natura che ci si schiudeva dinanzi, prendere tempo e non pensare a che cosa sarebbe successo qualche minuto più tardi.
Questo è quello che consiglio a chi progetta un viaggio a Capo Nord. Dimenticarsi la scorciatoia dell’aereo e dedicare del tempo a sé stessi. Perché ogni angolo, ogni curva sulla strada, ogni fiordo e ogni squarcio che si apre sul paesaggio sono un gradino di una lunga scala.
E la scala è fatta anche di noia. La strada sembra tante volte interminabile, tutta dritta e tutta uguale. Laghi, foreste, poco o nulla da ammirare soprattutto se il cielo è grigio. Però la noia genera attesa, che prima o poi si schiude in sorpresa.
Quanto a sorpresa, in quel viaggio fui fortunatissima. Con noi c’era Alessandro, credo avesse 7 anni al massimo. A parte la sua straordinaria capacità di individuare le renne a centinaia di metri di distanza, nei suoi occhi albergava la meraviglia. Tutto era scoperta. E la sua gioia era contagiosa. Anche di fronte alla duecentesima renna avvistata, il gruppo intero se ne rallegrava e si sporgeva verso i finestrini del bus per ammirare lo splendido animale. Alla fine del tour tutti oramai credevamo all’esistenza degli elfi di Babbo Natale e pure di Santa Klaus in persona, tanto il suo affacciarsi sulle bellezze del mondo era puro. Da allora, ogni volta che parto, mi auguro di riuscire ad avere sempre quella luce negli occhi. Curiosità, certo, ma anche capacità di lasciarsi affascinare. Quella che solo i bambini hanno.
E che dire del bar di ghiaccio di Honninsvåg? In un altra parte del mondo mi sarebbe sembrato semplicemente kitsch, ma lassù anche una freddolosa come la sottoscritta ci ha trovato qualcosa di piacevole. Difficile dire che cosa. Probabilmente proprio il clima. Perché nonostante il freddo che si prova in quella specie di grande igloo, il divertimento vissuto in quei momenti riscaldava il cuore.
In quell’avvicinamento a Capo Nord c’è stata anche qualche situazione più complicata, inclusa una visita serale all’ospedale di Aalta. Nulla di grave, per fortuna. Ma anche quella fu una tappa significativa. Perché un conto è la narrazione dei miei bravissimi colleghi finlandesi e norvegesi. Un altro è farsi raccontare dall’esiguo personale (un medico e due infermiere) che cosa significhi vivere quotidianamente a nord del Circolo Polare Artico, soprattutto quando in inverno il ghiaccio e il buio ricoprono tutto quanto. Mi ha fatto specie sapere che le donne in attesa di un figlio debbano trasferirsi con largo anticipo ad Aalta (o negli altri sparuti centri dotati di strutture mediche) per non farsi sorprendere dalle doglie del parto nell’oscurità artica. Per quanto la Norvegia sia un Paese ricco e avanzato, alla Natura non si può troppo comandare. Ed era per me sorprendente la sorridente semplicità con cui questo veniva spiegato. In fondo, come a voler dire che la Natura non è matrigna: fa solamente il suo corso e all’uomo spetta la capacità di adattarsi. Anche se poi il medico (piuttosto rubizzo) ci rivelò che soleva trascorrere l’inverno sulle più miti coste andaluse…
C’è ancora un aspetto che ricordo con grandissima gioia: la luce. Non è solo il fatto che non faccia buio. La luce nell’estate artica ha un colore dorato che è una sorta di balsamo per la pelle, per gli occhi e per l’umore. Ci si sente accolti in un caldo abbraccio, i raggi di sole sembrano fili di seta. E non si avrebbe mai voglia di andare a dormire. Per questo al mattino mi alzavo prestissimo e andavo a fare lunghe passeggiate nei boschi circostanti. Ho visto lepri e fiori selvatici, placidi corsi d’acqua e alberi maestosi. Ho ascoltato la pace.
Ovviamente a Capo Nord ci siamo stati. Era una notte chiara come se fosse giorno. Ventosissima. E con il cielo pieno di nubi. A mezzanotte si è aperto per mostrarci il suo tesoro, il sole basso all’orizzonte che poi ha cominciato a risalire la china. Spettacolare indubbiamente. Ma l’incanto vero era iniziato molto prima.