La visita al monastero reale di Brou, capolavoro del gotico fiammingo in terra di Francia, ci racconta la storia di Margherita d’Asburgo, che seppe coniugare amore e politica. Nonostante le sventure.
Quest’oggi vorrei raccontarvi la storia di una donna forte, capace di essere protagonista della sua epoca nonostante le sue vicende personali. Mi riferisco all’arciduchessa Margherita d’Asburgo, grazie alla quale ancora oggi possiamo ammirare quel capolavoro del gotico fiammeggiante che è il monastero reale di Brou. E, credetemi, visitare quel luogo è, prima ancora che un fatto culturale, rendere omaggio a una figura colpevolmente poco ricordata dai libri di storia.
Una donna sfortunata e tenace
Ma chi era Margherita? Era la figlia di Massimiliano I e di Maria di Borgogna. Ve lo ricordate Massimiliano? Quello che per giustificare la sua ascesa al potere aveva congegnato una grande messinscena per far credere di essere stato salvato da un angelo. Dopo quella trovata, si era sposato con l’unica figlia dell’ultimo duca di Borgogna, Maria appunto. Ne erano nati due figli, Filippo e Margherita. Poi Maria morì, quando i bambini avevano, rispettivamente 4 e 2 anni. Massimiliano si risposò, ma oggi questo ci riguarda poco. E’ invece più interessante ricordare che, per motivi qui lunghi a spiegarsi, l’imperatore si trovò costretto a siglare un’allenza con il re francese. Alleanza che prevedeva il matrimonio fra Maria e il delfino di Francia, il futuro Carlo VIII.
Dalle natie Fiandre, la piccola Margherita si trasferì nella valle della Loira, per essere allevata alla corte di Francia. Giusto il tempo di arrivare che suo “suocero” Luigi XI morì. Il che, all’età di tre anni, permise a Margherita di diventare regina di Francia, almeno formalmente. Titolo che, però, le fu tolto qualche anno più tardi, quando, per motivi politici, fu ripudiata in favore di Anna di Bretagna. Margherita aveva 11 anni e ben si può immaginare che una rampolla di una delle famiglie più in vista d’Europa non potesse rimanere sola troppo a lungo. Massimiliano, famoso per la sua tattica matrimoniale, organizzò un duplice matrimonio facendo sposare i suoi eredi con i figli di Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona (sì, quelli che scacciarono i mori dalla Spagna).
Quindi, a 17 anni, Margherita si sposò con Giovanni II di Castiglia. Prima per procura nelle Fiandre e, poi, di persona, a Burgos. Fra una cerimonia e l’altra la nostra protagonista rischiò di far naufragio in mare e, presentendo la morte, scrisse un acuto testamento, in cui si definiva “sposata due volte, morta vergine”. Per fortuna, Margherita giunse sana e salva e, si narra, l’unione fu felice. Ma di brevissima durata, visto che non passarono nemmeno 6 mesi dalle nozze quando Giovanni, di salute assai precaria, morì.
Rientrata nei Paesi Bassi, dopo un comprensibile periodo di lutto, Margherita si risposò. Questa volta con Filiberto di Savoia detto “il Bello”. Non solo era bello, ma proveniva da una delle corti più raffinate d’Europa. E Margherita, finalmente, sperava di aver raggiunto la serenità: un matrimonio felice, l’appoggio della suocera, una corte ricca e colta. Tutto bene, dunque? Sì, fino a che l’atletico Filiberto non ebbe un incidente durante una battuta di caccia e morì.
L’inizio del cantiere
Nuovamente vedova, alla tenera età di 24 anni, distrutta dal dolore, Margherita decise di onorare degnamente la memoria del marito, facendo riedificare il monastero di Brou, nella campagna di Bourg-en-Bresse. Perché proprio lì? Perché sua suocera, Margherita di Borbone, aveva fatto voto, al tempo della malattia del di lei marito, di restaurare l’antico monastero benedettino di Brou, che era in misero stato. Quindi, la nostra Margherita riprese il progetto dedicandolo però al suo amato Filiberto. Non a caso, la chiesa cambiò dedicazione, assumendo quella di san Nicola da Tolentino (in quanto Filiberto proprio nel giorno di quel santo era morte) e fu affidata ai monaci agostiniani (cioè quelli a cui san Nicola apparteneva).
Un progetto grandioso
Per ciò che ne sappiamo, a un primo progetto, relativamente semplice, ne seguì un secondo, molto più ricco e sfarzoso. Ma che cos’era cambiato nelle intenzioni di Margherita? Per capirlo dobbiamo indagare ancora una volta nella sua biografia, per accorgerci che, dopo suo marito, anche suo fratello Filippo (soprannominato, pure lui, il Bello) era passato a miglior vita. Facendo dell’arciduchessa la reggente dei Paesi Bassi e la tutrice dei sei nipoti (di cui uno diventerà, anche grazie alle premure della zia, imperatore con il nome di Carlo V). Il suo governo, durato 25 anni, portò pace e prosperità alle Fiandre. Alla sua corte erano di casa Erasmo da Rotterdam e Albrecht Dürer. E Margherita, consapevole del suo ruolo, concepì un progetto grandioso per Brou.
Non più solo vedova inconsolabile, ma anche governatrice di una terra ricca e centrale nella geopolitica europea. E a Brou entrambi gli aspetti dovevano essere ben visibili. Da Mechelen (o, in francese, Malines), dove si era trasferita, Margherita diresse uno dei cantieri più importanti del primo Cinquecento. E scrivo “diresse” perché, nonostante i numerosi impegni, fu sempre in prima linea nelle decisioni riguardanti l’edificazione e la decorazione del monastero. Scelse personalmente il capomastro, inviò in Francia lo scultore della sua corte, a Bruxelles commissionò i cartoni che servirono a realizzare le bellissime vetrate, fece realizzare al suo pittore ufficiale una ricchissima pala d’altare.
Ma, soprattutto, volle monumenti funebri degni del suo rango e di quello di suo marito. E ben si capisce questo suo desiderio se si pensa, ancora una volta, a Massimiliano, che ad Innsbruck aveva concepito un mausoleo che, ancora oggi, appare a dir poco strabiliante. Fu così che per il monastero reale di Brou furono realizzati tre tombe che segnano uno dei momenti più alti dell’arte scultorea fiamminga. Al centro del coro, riposa Filippo; alla sua sinistra la sposa Margherita d’Asburgo, alla destra la madre Margherita di Borbone. Ogni dettaglio è di una finezza rara, la composizione architettonica armoniosa, la scenografia ben studiata.
La chiesa del monastero
E sono specialmente i ritratti dei defunti a destare meraviglia. Sì, perché i catafalchi mostrano, allo stesso tempo, i defunti nella loro veste politica (e dunque abbigliati ed ornati come nelle cerimonie ufficiali) e nella loro spiritualità. Quindi, se al livello più alto del monumento Margherita d’Austria appare con una ricca acconciatura e la corona, in quello sottostante i suoi capelli sono sciolti e indossa una semplice camiciola. Il suo volto, austero nella versione “pubblica” è invece ricco di grazia e di speranza in quello inferiore.
I pinnacoli che ornano le tombe, come in un caleidoscopio, si ritrovano negli stalli del coro, nella tribuna che separa l’aula dal presbiterio, per giungere sino alla facciata esterna, che benché non slanciatissima, appare elegante e votata verso il cielo. C’è un gioco di rimandi complesso, che dalle vetrate coloratissime conduce al bianco diafano dell’edificio passando per il legno scuro del coro. Ma tutto si compenetra e si completa, non ci sono stacchi né forzature. Margherita, volendo mostrare il suo rango e il suo potere, porta ancora oggi i visitatori in una dimensione di grazia. Entrando nella chiesa non si è accecati dalla luce e nemmeno ci si sente smarriti a causa dell’oscurità; al contrario, la luce è calda e avvolgente, la “foresta” di pilastri mitigata dall’ampiezza dell’aula.
Fortune Infortune Fort Une
L’altro rimando da non perdere ha un sapore più politico, visto il gran numero di blasoni e stemmi che si rincorrono sulle tombe e sulle vetrate. Ma, ancora una volta, Margherita non perse mai di vista il desiderio di celebrare l’amore: ovunque si rincorrono le iniziali P (per Philibert) ed M, suggello di un matrimonio durato solo tre anni. E, a rappresentare il dolore di Margherita, che mai più si sposò, la sua impresa: Fortune Infortune Fort Une. Tradotto per solito come “La fortuna importuna assai una donna”, ha forse una valenza più complessa, su cui gli storici si arrovellano da secoli. A me basta leggervi la consapevolezza di una donna forte che, nonostante le avversità della vita, riuscì a non lasciarsi travolgere dagli eventi, coniugando amore e ragion di stato.
A Margherita non riuscì di vedere completato il “suo” monastero perché, morto Filiberto, a Brou non tornò mai. Come da lei espressamente scritto, fu sepolta nella chiesa, dove ancora riposa con il marito e, per curioso che sembri, la suocera. Nemmeno la Rivoluzione Francese ha interrotto il suo riposo. Certo Margherita fu “disturbata”, con il solito copione di edifici conventuali utilizzati come stalle, ospedali, carceri, ma la chiesa (almeno al suo interno) restò sostanzialmente intatta. Forse ad omaggio di una donna tanto capace quanto tenace.