“Dare acqua alle corde”. Avete mai sentito questo modo di dire? Oramai non è più così in voga, eppure io lo trovo molto interessante. Se da un lato significa “risolvere prontamente un problema” o, anche, “agire con immediatezza”, d’altro canto questa locuzione indica un atto coraggioso. Ma perché?
C’è una caratteristica di Roma che amo moltissimo. Ovunque ci si trovi, c’è un aneddoto da scoprire. Non c’è via, palazzo o chiesa del centro storico che non serbi un dettaglio curioso. E uno di quelli che preferisco è legato all’obelisco di piazza San Pietro.
Prima di parlarne, però, occorre fare una premessa. A Roma di obelischi ce ne sono diversi. Addirittura è la città al mondo che ne conserva di più (e se non vi fidate di me potete consultare il libro Guinness dei primati). In gran parte provenienti dall’antico Egitto, furono trasportati nell’Urbe in epoca imperiale onde abbellire le piazze. Divennero talmente di moda da far sì che gli stessi Romani cominciarono a fabbricarne, talvolta lasciandoli privi di decorazione talaltra copiando incomprensibili geroglifici.
Gli obelischi tornarono in auge con papa Sisto V, al secolo Felice Peretti. Rimase sul soglio pontificio dal 1585 al 1590. Breve ma intenso, mi verrebbe da dire. Perché quei soli cinque anni si rivelarono molto fecondi per Roma. A lui si devono, ad esempio, l’acquedotto denominato Acqua Felice, il completamento della cupola di San Pietro, l’apertura della via Sistina. Sua fu anche l’idea di innalzare alcuni obelischi. Non che avesse un particolare amore per le antichità egiziane; più semplicemente, tali monoliti, alti e stretti, erano visibili a distanza e quindi potevano essere un utilissimo segnavia per i numerosi pellegrini che si riversavano a Roma. In pratica, ponendosi in alcuni punti strategici e guardandosi intorno, i forestieri potevano agevolmente comprendere la direzione da intraprendere per raggiungere un punto notevole del loro pellegrinaggio.
Il primo obelisco ad essere innalzato fu proprio quello di piazza San Pietro. Incaricato dell’ambizioso progetto fu quel genio troppe volte dimenticato chiamato Domenico Fontana. Vorrei tanto raccontarvi di lui e di tutti i lombardo-ticinesi che resero Roma la meraviglia che è; prometto che prima o poi scriverò un trattato sull’argomento (o magari un breve riassunto per i più curiosi). Il Fontana ci si mise d’impegno e stimò che per sollevare un’unica pietra alta oltre 25 metri e pesante non meno 320 tonnellate avrebbe avuto bisogno di 75 cavalli, 40 argani e qualche centinaia di operai (le fonti non sono concordi, ma si calcolano circa 800 uomini). E, soprattutto, di silenzio.
Sapete a cosa serviva il silenzio? Immaginate la scena: 800 operai, cavalli, ponteggi e… uno spettacolo assicurato! Per la prima volta nell’evo moderno un obelisco veniva issato. Facile immaginare che i romani sarebbero accorsi in massa a godersi lo show. Il Fontana temeva che schiamazzi, grida di giubilo o di spavento avrebbero potuto rendere meno docili gli animali da soma e, soprattutto, che le varie squadre di carpentieri non avrebbero potuto udire distintamente i suoi comandi. Ma come far tacere la folla? Semplice: portandosi dietro un boia! Sì perché Sisto V tanto teneva al suo obelisco da non esitare di fronte a nulla. Se qualcuno avesse aperto bocca, sarebbe stato condannato a morte seduta stante.
Era il 10 settembre 1586. Come da copione, i romani si assieparono in piazza. Nel silenzio più assoluto cominciarono le operazioni per issare l’obelisco. Tutto bene fin quasi alla fine delle delicate manovre, quando le corde di canapa iniziarono a surriscaldarsi e ad emettere fumo. Se si fossero spezzate, il monolite sarebbe precipitato a terra, sbriciolandosi in mille pezzi. Fu così che, dalla folla ammutolita, si levò un grido: “Acqua alle corde!”. Un tal Benedetto Bresca aveva osato urlare l’unica soluzione possibile, che fu prontamente eseguita dalle maestranze portando così a compimento l’ardua impresa.
Bresca era ligure ed esperto di navigazione, dunque sapeva bene come armeggiare con corde e gomene. Ma aveva disubbidito al papa in persona, che aveva promesso la morte a chiunque avesse parlato. Esperto e coraggioso dunque. Ma la storia ebbe un lieto fine perché il Sisto V, felice di vedere l’obelisco finalmente al suo posto, non lo mandò al patibolo. Al contrario, chiese al capitano quale ricompensa avrebbe voluto gli fosse concessa. E Benedetto, legato alla sua terra, chiese ed ottenne che la città di Sanremo diventasse la fornitrice ufficiale delle palme utilizzate nella processione della domenica che precede la Pasqua.
Qualche volta penso che dovremmo ricordarci più spesso di Benedetto Bresca, della sua presenza di spirito e del suo coraggio. Parlare chiaro può costare caro, ma può anche salvare una situazione che si credeva compromessa. E qualche volta rifletto pure sull’umiltà di Domenico Fontana che, prontamente, accettò il consiglio di uno sconosciuto. Era uno degli architetti favoriti del pontefice, eppure si mise in ombra per il bene dell’impresa comune. “Acqua alle corde!”, dunque! Credo ce ne sia un gran bisogno.