Saint-Aignan-sur-Cher è un villaggio come tanti altri in Francia. L’ho scoperto per caso, ma ne ho un vivido ricordo. La sua chiesa collegiata, in stile romanico, è per certo una sorpresa da gustare con gli occhi.
Sicuramente Saint-Aignan-sur-Cher fa parte di quei luoghi che ho scoperto un po’ per caso, quando, lungo il percorso, mi è capitato di avere più tempo del previsto e la curiosità suscitata da qualche breve descrizione letta su internet o su una guida ha avuto la meglio. Di solito devo assumere un’espressione da “piccola fiammiferaia” per convincere i colleghi autisti della bontà della sosta, ma in quest’arte non temo rivali. Potrei tenere master sull’argomento.
Ma veniamo a Saint-Aignan. Di rientro dai castelli della Loira, quel mattino di tempo ne avevamo parecchio, il gruppo era molto disponibile ed interessato (perché le perle non si regalano a chiunque) e il collega era di quelli giusti. Dunque le condizioni erano quelle ideali e anche il cielo non era poi così male. E già l’arrivo in paese faceva presagire che la sosta sarebbe stata interessante. Il borgo, infatti, è arroccato su uno sperone roccioso sulle rive del fiume Cher ed offre un’immagine di sé decisamente imponente: a destra dell’altura si profila un castello, a sinistra una chiesa con due massicci campanili. Più sotto, fino alla riva del fiume, lo sparuto ma compatto villaggio, che conta sì e no 3500 anime.
Oltrepassato il ponte e lasciato il bus, ci siamo addentrati a piedi fino alla chiesa. L’esterno è poderoso e denuncia chiaramente quel cambiamento di gusto che dal romanico condusse i francesi ad elevare le ardimentose cattedrali gotiche. I muri, in pietra grigia, sono pieni e severi, con poche aperture e l’intera struttura, anche se di dimensioni tutt’altro che indifferenti, grava sulla terra più che alzarsi verso il cielo. Le stesse torri campanarie sono, come detto, massicce e non conferiscono leggerezza alcuna all’intero complesso. D’altra parte, gli evidenti contrafforti e la notevole altezza della navata centrale già preludono a quello che sarebbe successo in seguito in campo architettonico.
In effetti, leggendo il breve ma esaustivo pannello posto all’ingresso della collegiata, siamo venuti a sapere che la la zona absidale, del transetto e della torre centrale rimontano al XI secolo, mentre, procedendo verso l’aula, le opere murarie risalgono al XIII. Oltre 250 capitelli ornano l’intero edificio e già questi meriterebbero di essere attentamente indagati. Alcuni sono molto deteriorati e altri completamente rifatti, ma ancora si indovina la ricchezza di simboli, narrazioni e situazioni che gli anonimi scultori avevano programmato per i fedeli.
Basta ammirare, solo per averne un’idea, l’Annunciazione che orna un capitello del portale meridionale. Efficacissimo nella sua essenzialità, ma non privo di un gusto per il dettaglio che denuncia la maestria dell’artista che vi lavorò. E’ sufficiente guardare la ricca veste dell’arcangelo Michele o la piega soave del manto della Madonna per accorgersene. Così come splendido è il capitello che mostra una figura umana insidiata dalle fiere, che nel ricco immaginario medievale indicavano il male.
Ma la vera sorpresa doveva ancora arrivare… dalla chiesa si può infatti accedere alla cripta di San Giovanni. Pare che questa sia la primitiva cappella sulla quale i presbiteri, divenuti ricchi e potenti, decisero di far costruire la grandiosa collegiata. Durante la Rivoluzione francese le sorti di questo edificio furono piuttosto tristi: confiscato dallo Stato, fu riadattato a Tempio dedicato alla Dea Ragione. Gran parte delle sculture furono rimosse o comunque danneggiate e la cripta fu utilizzata come stalla. Solo nel 1845, finita la Rivoluzione e dopo un periodo di abbandono, la chiesa fu dichiarata Patrimonio nazionale e una lenta opera di restauro ha consentito di salvare dall’oblio il tesoro che la cripta ha gelosamente custodito.
L’abside conserva infatti pitture ascritte al XII secolo, che più di un esperto ha valutato fra le più importanti della Francia del periodo. Non sempre la lettura è facilissima, anche perché in diversi punti i colori sono molto sbiaditi. Ma quel che resta è più che abbastanza. Le storie di Sant’Egidio, ad esempio, nella loro scarna narrazione sono curate con minuziosi dettagli, a partire dal panneggio delle vesti e dalle pose assunte dai soggetti raffigurati.
Non meno bello è il Cristo in mandorla, attorniato da santi e devoti, francamente romanico nel gusto, cui fanno compagnia scene che già scivolano verso l’epoca gotica. Fra l’altro, queste ultime parlano di un fatto locale che destò grande scandalo. Luigi II di Chalon, signore di Saint-Aignan, ripudiò la prima moglie per rapire la spagnola Jeanne de Perellos, cortigiana della duchessa di Borgogna. Episodio, questo, esposto nel cartiglio/fumetto che è sopra le loro figure, rappresentate inginocchiate al cospetto della Vergine della Pietà che, secondo l’iconografia tradizionale, tiene in grembo Gesù ormai morto. Come a dire che i signori locali, avendo disponibilità di mezzi, si decisero a chiedere pubblico perdono del loro peccato, facendosi immortalare contriti sulle pareti della chiesa più importante della zona.
Dettagli di un mondo ormai finito, perché di certo un fatto del genere oggi non scandalizzerebbe più nessuno. Ma le scene sono così vivide e belle da destare stupore. Per nostra fortuna né la Rivoluzione francese né una certa incuria che aleggia ora intorno al monumento hanno intaccato un tale gioiello. Motivo per cui raccomando a chiunque decida per un viaggio nella zona dei castelli della Loira di non trascurare una tappa a Saint-Aignan.
Questo il link all’ufficio del turismo di Saint-Aignan-sur-Cher: http://www.tourisme-valdecher-staignan.com/