A Brema la Bottcherstrasse è una strada soprannominata “città nella città”. Se capitate da quelle parti, non perdete l’occasione per ammirare edifici in stile espressionista, per curiosare botteghe artigiane e per conoscere la storia di un capitano d’industria davvero curioso.
Dici “Brema” e pensi ai musicanti. E, senza dubbio, alla fiaba dei fratelli Grimm la città deve parecchio. Al punto che, non lontano dalla piazza del Municipio con il suo Roland, vi è una scultura che nessun turista può ignorare. Però, se siete arrivati fino lassù, vi consiglio di non trascurare la possibilità di fare una passeggiata nella Bottcherstrasse, che inizia sull’altro lato della piazza. È una via che offre una discreta possibilità quanto a fotografie da postare sui social, ma se ve la consiglio è per la storia (o, per meglio dire, le storie) che custodisce.
Il vicolo dei bottai
La prima storia riguarda il suo nome. La Böttcherstrasse (che così si scrive, ma a Google i due puntini non stanno simpatici) altro non è che il vicolo dei bottai. Brema è stata per secoli città mercantile, strategicamente collocata sul fiume Weser e non lontano dal mare. Oggi esistono i container, ma un tempo la gran parte delle merci veniva stivata dentro a grosse botti. Chiaro dunque che, vicino ai porti, esistessero imprese che le fabbricavano, le vendevano e, all’occorrenza, le riparavano. E, a Brema, i bottai si installarono lungo una via posta fra il centro cittadino e il fiume.
Doveva essere una strada animata e “popolare”, sicuramente non il salotto buono destinato all’alta borghesia. Con l’avvento dell’industrializzazione, i bottai persero gran parte dei loro affari e, a causa di questo, la Bottcherstrasse cominciò a perdere abitanti e commercio, diventando zona malfamata e malsicura. Fu così che, a inizio Novecento, l’amministrazione comunale decise per lo sgombero e la demolizione degli edifici della Bottcherstrasse, oramai troppo vecchi e fatiscenti per poter essere ancora abitati. Le due proprietarie del civico 6, però, non volevano arrendersi a un destino tanto crudele per il loro quartiere ed ebbero un’idea…
Dal caffè agli immobili
Riuscirono infatti ad entrare in contatto con Ludwig Roselius e a convincerlo ad acquistare quantomeno il loro immobile. Narra la leggenda che le signore lo pregarono di intraprendere l’impresa immobiliare affinché “il fringuello di ferro non mettesse anche lì i suoi pali arruginiti” (come a dire che le due non gradissero le gru e gli edifici moderni e anonimi che stavano cambiando il volto di Brema). Ma chi era Roselius? Questa è un’altra parte interessante della storia…
Ludwig Roselius era il figlio di un importatore e commerciante di caffè. Attività fiorente, al punto che il giovane, dopo un periodo di apprendistato, cominciò a lavorare con il padre aiutandolo ad espandere i commerci dell’impresa familiare. Fondò filiali a Londra, Utrecht, Vienna ed Amburgo. Dietrich, il padre, morì ancora giovane a causa di un attacco cardiaco, che i medici attribuirono all’eccessiva assunzione di caffè. Fu così che Ludwig cominciò ad interessarsi al processo per eliminare la caffeina dai chicchi di caffè, sistema che brevettò nel 1906.
Ovviamente, per mettere sul mercato il caffè decaffeinato, fondò una società. Volete sapere come si chiamava la sua azienda? Il nome era un po’ difficile: Kaffee Handels Aktien Gesellschafft, cioè “Caffè Società per Azioni Commerciale”. Mai sentito? Fidatevi che lo conoscete, perché sugli scaffali il marchio arrivò come Kaffee HAG (dalle iniziali del nome della società). Come sede della società Roselius decise per il n. 6 della Bottcherstrasse, stabile che l’imprenditore aveva acquistato nel 1902.
Un villaggio per artisti nel cuore di Brema
Le due signore della Bottcherstrasse avevano davvero fatto breccia con la storia del fringuello di ferro. E questo perché Roselius era sì un ricco imprenditore, ma era anche amante dell’arte, dell’archeologia e della cultura e per il vecchio vicolo dei bottai aveva un’idea ben precisa: trasformare un quartiere ormai fatiscente in un luogo bello e affascinante. Per farlo si sarebbe affidato ad architetti dalla visione moderna e avveniristica così come ad artigiani forti della loro tradizione. Non a caso, a capo del progetto Roselius chiamò i due architetti, Scotland e Runge, che già si stavano occupando del marchio HAG. Per la parte artistica, v’era Bernard Hoetger, legato all’Espressionismo tedesco.
Ci vollero anni, ma, infine, nel 1931, dopo circa sei anni di lavoro, Roselius potè inaugurare la Bottcherstrasse. Le lungaggini furono determinate di sicuro dalla Prima Guerra Mondiale, ma anche dallo sfavore che il consiglio comunale di Brema nutriva nei confronti del progetto. Infatti, il patron della Kaffee HAG aveva una visione ben precisa di quel che desiderava e, oltre all’acquisizione degli edifici preesistenti, doveva anche persuadere i senatori locali che la sua idea fosse più che sensata. Non a caso, Roselius volle uno stile che si addicesse a una città nordica e che, quindi, non risultasse troppo diverso dal resto del tessuto urbano. Di qui l’uso sapiente del mattone, che da semplice materiale di costruzione diventa pure motivo decorativo. Largo anche al ferro battuto, che perfettamente si addiceva al passato portuale della città. Tutto senza rinunciare all’estetica e alla funzionalità.
Nella visione di Roselius, la Bottcherstrasse doveva essere una piccola colonia di artisti con negozi, uffici e appartamenti. Dunque, luogo di commercio, ma anche di incontri culturali e di fruizione del bello. Fra gli edifici più celebri della via, date uno sguardo alla Haus des Glockenspiels (alias la casa del carillon), decorata all’esterno con 30 campane in porcellana di Meissen e con pannelli a ricordo di famosi navigatori e aviatori. Merita una visita anche la Haus St. Petrus, per la quale i progettisti ripresero il motivo ad arcate dell’edificio di cui prese il posto. La dedicazione a San Pietro, curiosamente, si deve ancora una volta a Roselius, che lì voleva un ristorante specializzato nel pesce. Non dimentichiamo che Pietro faceva il pescatore… E se poi arrivate al cospetto della Haus der sieben Faulen (casa dei sette pigri), sappiate che le formelle che decorano la facciata ricordano un’antica fiaba di Brema.
Sappiamo che, nonostante all’inizio Roselius accordò il suo favore alle idee naziste, il progetto non piacque affatto al nascente regime, secondo cui lo stile della Bottscherstrasse era esempio di arte degenerata, come peraltro tutte le opere espressioniste. Per fortuna nostra, però, non si andò mai oltre la condanna formale e la strada, sapientemente restaurata nel secondo dopoguerra, è ancora una delle maggiori attrazioni di Brema. Ludwig Roselius morì durante la guerra e credo amerebbe sapere che il suo “villaggio” è ancora amato e curato.
Il XXI secolo
La gran parte dei visitatori si limita a una passeggiata lungo la via, alla ricerca di scorci da fotografare e di souvenir da acquistare. Ma se volete, la Bottcherstrasse offre due gallerie d’arte (oltre alla ricca collezione di Roselius, al civico 6, vi è pure quella di Paula Becker-Modersohn), un cinema (dove annualmente si organizza un festival dedicato alla settima arte), alcune botteghe artigiane. E poi diversi ristoranti, caffetterie (ovviamente…) e ben due hotel (uno dei quali conserva ancora una scala a chiocciola originale che è una meraviglia).
Non scommetterei sul caffè, perché temo che non sia adatto ai raffinati palati italiani. Ma se volete passeggiare e lasciarvi meravigliare, non dimenticate di presentarvi nella Bottcherstrasse a mezzogiorno, quando le campane di Meissen ancora rintoccano offrendo un soave concerto.