Certi libri sono come le persone: ci sono quelli che istintivamente ti stanno simpatici, quelli che ti attraggono per la copertina, quelli che ti ‘ingannano’… Con Il filo infinito è stato amore a prima vista, anzi, a prima pagina.
Paolo Rumiz ha una straordinaria capacità di raccontare l’Europa e le sue contraddizioni. Lo avevo già constatato in altre occasioni, ma qui compie un lavoro ancora più prezioso: ci regala delle suggestioni, dei suggerimenti sul come guardare al nostro vecchio caro continente per vedere ciò che è oggi e, soprattutto, ciò che potrebbe di nuovo essere. Ci siamo, forse, abbandonati con troppa facilità all’idea che la nostra Europa sia in crisi. Come fosse la prima volta… Eppure è già stata salvata, molto tempo fa. Da chi? Da dei monaci che, con la sola forza della fede, hanno risollevato un intero continente.
Vi sembra eccessivo? Rumiz ci racconta di come, con l’efficacia della formula ora et labora, sono riusciti a creare un mondo nuovo. Lo hanno fatto, per di più, nel momento peggiore, negli anni di violenza e anarchia che seguirono la caduta dell’impero romano, quando le invasioni erano una cosa seria, non una migrazione di diseredati. Ondate violente, spietate, pagane. Li hanno cristianizzati e li hanno resi europei con la sola forza dell’esempio. Questo ha permesso loro di salvare una cultura millenaria e rimettere in ordine un territorio devastato e in preda all’abbandono. I monasteri sono stati formidabili presidi di resistenza alla dissoluzione.
Ma dunque chi sono questi ‘eroi’? Si tratta dei discepoli di Benedetto da Norcia, il santo protettore d’Europa. Paolo Rumiz li ha cercati nelle abbazie, dall’Atlantico fino alle sponde del Danubio. Luoghi più forti delle invasioni e delle guerre. Gli uomini che le abitano vivono secondo una Regola più che mai valida oggi, in un momento in cui i seminatori di zizzania cercano di fare a pezzi l’utopia dei padri: quelle nere tonache ci dicono che l’Europa è, prima di tutto, uno spazio millenario di migrazioni. In realtà, ci mostrano che la nostra è una terra ‘lavorata’ dove è impossibile distinguere fra l’opera della natura e quella dell’uomo. Una terra benedetta che non ha senso cercare di blindare.
Questa straordinaria impresa è cominciata dall’Appennino. Territorio complicato e duro, abituato ad affrontare avversità e terremoti ma a rialzarsi sempre. Tale impresa, però, non si è fermata qui ed è andata lontano. Rumiz vuole scoprire fino dove è riuscita ad arrivare ma anche quanto c’è ancora di autenticamente cristiano in un Occidente travolto dal materialismo e dal capitalismo. La fede è l’unica risposta possibile? Non necessariamente ma l’interrogativo è urgente.
Ne Il filo infinito, Rumiz cerca una risposta nei luoghi e tra le persone che continuano a tenere il filo dei valori perduti, in un viaggio che è prima di tutto una navigazione interiore. Trova una risposta univoca? Forse no, ma ci lascia con una speranza e con molte suggestioni.
“Ne sono certo. Esiste un’altra Europa, di cui poco si parla. Un’Europa giovane e appassionata, che sogna, viaggia, resiste, combatte. Un’Europa che si fa carico del proprio destino e non scarica sugli Ultimi le colpe della crisi… Una musica che dica davvero chi siamo, che esprima la forza di una cultura comune e narri l’appartenenza a uno spazio unico al mondo, fertile e misurabile, ricco di storia, lingue, piazze, culture, paesaggi.”
Paolo Rumiz, Il filo infinito, Feltrinelli, Milano, 2019