Nel mondo tedesco salutarsi è un’arte complicata. Non perché ci siano riti particolari da fare, ma perché ogni regione ha i suoi convenevoli. Partendo da Grüß Gott! fino ad arrivare a Servus!, ogni saluto apre un piccolo mondo.
In principio fu Grüß Gott. Nel senso che, dopo aver appreso come augurare in tedesco il buongiorno e la buona sera, la prima volta che mi capitò qualcosa di singolare a riguardo fu proprio al cospetto di Grüß Gott. I più smaliziati lo avranno già capito: era il mio primo viaggio in terra bavarese. Lì per lì rimasi un po’ sorpresa e tirai dritto col mio banale Guten Tag. Solo che, siccome chiunque, pure al telefono, perseverava con quella strana espressione, cercai di capire meglio. E, appunto, scoprii che in Baviera ci si saluta così: Dio ti benedica. D’altra parte, è la terra del cattolicesimo tedesco, quindi tutto torna. Però, quando me l’hanno spiegato, a me era rimasto un dubbio. Grüßen letteralmente si traduce con salutare, non con benedire. Ho poi scoperto che nel Medio Evo non era proprio così: benedire e salutare erano più o meno la stessa cosa. Augurare una benedizione o la salute, in fondo, non sono poi concetti così lontani.
La faccenda del Grüß Gott andò complicandosi con la Riforma Protestante. Questo perché il saluto si potrebbe tradurre anche con “Saluta Dio” e i disincantati luterani presero a rispondere con motti di spirito quali “Quando lo vedo!” oppure “Spero non troppo presto”. A dimostrazione del fatto che la Germania adesso è una, ma per secoli è stata divisa in una miriade di piccole compagini regionali che hanno dato vita a tradizioni particolari. Complice, ovviamente, anche la storia e le sue complicate vicende di invasioni e dominazioni.
Quindi se a Monaco è naturale sentirsi augurare Grüß Gott, nella nordica Amburgo il saluto tipico è Moin, moin! E qui si apre un’altra questione. Sì, perché all’inizio mi fu raccontato che moin (oppure moi) è una corruzione della parola Morgen, ovvero mattino. Quindi un modo sbrigativo per dire buon mattino. Siccome però anche calata la notte gli amburghesi perseveravano con il loro saluto, ho indagato con più attenzione e alla fine ho scoperto che nei dialetti nordici (compresi quelli di Lussemburgo, Olanda, Frisia e Danimarca) mooi significa buono. Dunque di abbreviazione trattasi, (ché lassù al nord il tempo è denaro), ma sarebbe come dire in italiano buon in luogo di buongiorno.
Dicevo, però, che anche le vicende storiche hanno avuto il loro peso. Basti pensare ad adé, l’arrividerci della Franconia. Ma non lasciamoci trarre in inganno: adé deriva palesemente dal francese adieu, ma il fatto che la Franconia sia la terra dei Franchi c’entra poco. Infatti, per molto tempo in tutta la Germania si soleva congedarsi dandosi appuntamento in una vita futura, a Dio appunto. Uso mutuato dal francese antico, ancora in auge ai tempi di Goethe. Poi, proprio nel XVIII secolo, la nobiltà preferì il più elegante adieu; d’altra parte, Federico II di Prussia diceva che il tedesco andava bene giusto per parlare con i cavalli. Quindi, adé rimase a disposizione del popolino che, a poco a poco, si convertì al teutonico Auf wiedersehen. Fino al 1914, anno in cui venne decretata la morte del povero adé: il francese certo non potevano intaccare il sentimento patriottico dei sudditi del Kaiser! Privilegi delle Guerre Mondiali e degli scellerati che le vollero… In Franconia adé non fu dimenticato e, ancora oggi, capita di sentirlo. Soprattutto perché la regione fa parte della Baviera e non sembra che gli abitanti ne siano entusiasti.
E così torniamo là dove abbiamo incominciato, cioè in Baviera. Laggiù (ma anche in Austria) c’è un altro modo per salutarsi: servus! Colpa dell’impero Romano, con ogni evidenza. Forse qualcuno, in Italia, dice ancora “servo tuo”. Ebbene, l’idea è proprio quella. Anche perché il nostro ciao ha esattamente la stessa origine: deriva da sclavus, passato poi in area veneta come s-ciavo e poi s-ciao e, infine, solo ciao.
In fin dei conti, mi viene da pensare che l’importante sia salutarsi, magari con un bel sorriso. Per la stretta di mano ci vorrà ancora del tempo, ma fra un Grüß Gott e un Moi l’importante è non perdere l’abitudine (e il piacere) di vedersi.
P.S. A proposito di adé: non solo lo usava Goethe, ma anche in un Lied di Schumann si può sentire distintamente: Ade, mein fröhlich Frankenland (Addio mia lieta Franconia). Si tratta del Lied Abischied von Frankreich, contenuto nel ciclo Gedichte der Königin Maria Stuart.
P.P.S. La foto di copertina è stata scattata ad Amburgo ed è degna di una storia che prima o poi vi racconterò.
2 commenti
Aggiungerei il salito molto diffuso nella lingua svizzero-tedesca: Grüezi o anche nella forma Grüäzi.
Prima o poi dedicherò un articolo sullo svizzero tedesco, un affascinante mondo a parte!